Per diradare la nebbia

 

Enzo Martino

16-03-2005  

Questo scritto vuole essere un commento alla riunione di lunedì scorso con gli studenti di giurisprudenza: un incontro proficuo, ma troppo breve. Gli studenti erano curiosi di sapere come lavoriamo nelle nostre riunioni, ma per capire e conoscere il gruppo della trasgressione non può bastare un incontro veloce.

L’argomento che abbiamo discusso era molto interessante: gli obiettivi della pena e com’è vissuta da chi la subisce. Da parte mia sono restio a parlare del carcere, perché capita spesso che si finisce per parlare delle vicende processuali personali e ci si trova inevitabilmente su posizioni opposte. Invece, serve capire che cosa è successo nella realtà e nella mente di un individuo che giunge a infrangere la legge. A mio parere, è da questo punto che serve partire per cominciare a capire. E’ importante conoscere le persone e la storia che si portano dietro, altrimenti si rischia di arrivare a conclusioni grossolane.

Sono detenuto da parecchi anni e credo che d’occasioni di guardarmi intorno ne ho avute. Per quanto posso capire dalla mia personale esperienza, una delle soluzioni per far sì che un detenuto si evolva è quella di motivarlo a studiare; credo che questo sia un buon inizio per le persone detenute e non solo per queste. La maggior parte dei detenuti non ha la licenza media inferiore, in molti casi neanche quella elementare. Se tutte queste persone (ed io sono una di queste) non hanno studiato, significa che nel passato in ognuno di noi c’è stata una mancanza.

Le circostanze ambientali hanno un peso decisivo nel futuro delle persone. Partire dal passato per conoscere la strada nuova che bisogna intraprendere nel futuro. Serve capire le ragioni che hanno fatto sì che ci sia stata una così gran diserzione dalla scuola; e le ragioni possono essere molteplici. Il motivo che mi ha tenuto lontano dalla scuola è stato che in famiglia a quel tempo servivano più soldi per vivere con decoro.

Oggi, riprendendo gli studi, ho trovato dei docenti che svolgono l’insegnamento da volontari. Quello che mi colpisce è il loro impegno verso di noi; in loro ho trovato quegli alleati che nel passato non ho avuto, e non perché volontari, ma perché in loro vedo quello che mi è mancato, ossia la fiducia.

Credo che un’ulteriore ragione del mio allontanamento dagli studi sia stata nel passato proprio la mancanza degli alleati che oggi ho trovato e non solo in queste persone. Credo che, se avessi avuto un’adolescenza diversa, oggi mi troverei di sicuro in un’altra situazione. Sostengo con convinzione che lo studio è un ottimo incentivo per far comprendere a ognuno le cose che per lui possono essere importanti.

 

 

 

 

Le persone rinchiuse vivono come se della nebbia li avvolgesse amorevolmente; si deve far capire loro che la nebbia offusca la vista, ed è ovvio che si andrà sempre a sbattere la testa contro il muro.  Se si riuscisse in questo intento, la società civile avrebbe solo da guadagnarci: non serve chiudere in cella le persone per tentare di estirpare il problema, ma serve che le persone imparino a prendere coscienza di loro stesse. Fino a quando non si insegna a capire lo sbaglio commesso (e non con la punizione corporale, ma entrando in quella nebbia e per poi dissiparla), tutto ciò sarà inutile. Serve motivare le persone detenute a uscire dalla loro nebbia, perchè in carcere, di solito, non si hanno dei punti a cui fare riferimento.

Conoscere il mondo carcerario è assai difficile per chiunque. Le persone hanno bisogno di alleanze, e devono sentire di appartenere a qualcosa di concreto. La scuola può dare una di queste alleanze. Ecco, questo è il gruppo della trasgressione, dove incominci ad evolverti. Poi si sente la necessità di migliorarsi, di apprendere nozioni nuove e di approfondirle. Questo porta solo dei benefici, per sé e sicuramente per gli altri.

Un saluto sincero a tutti gli studenti che sono venuti a trovarci, con l’augurio di un futuro incontro.