Lettera dalla madre

Silvia Casanova

02-02-2005  

 

 

 

Non ti ho guardato negli occhi mentre intuivo la tua rabbia, come non guardavo i miei mentre la sera mi pettinavo allo specchio.

Mi sentivo bruciare di rancore.

Ora le fiamme divampano mangiandosi il dolore; prendono il tuo posto, coprono la tua assenza e le mie.

Ti ho sorriso, cullato, protetto in silenzio.

Abbiamo camminato, lungo ogni sentiero dei nostri poderi, ovunque tu volessi andare.

Ti ho guardato crescere, ho sentito la tua mano farsi più grande, ogni giorno di più stretta nella mia, affrancarsi il tuo passo, illuminarsi i tuoi occhi mentre ti raccontavo favole che inventavo solo per te.

Ho pianto per l’amore che non ho saputo comprendere fino a quando per la prima volta non ti ho avuto fra le braccia.

Ho pianto di orgoglio quando mi hai chiamato per la prima volta, con la voce e con gli occhi.

Mi sento chiamare e guardare ogni giorno e ogni giorno vorrei che fosse la tua voce da lontano che mi chiama.

Vorrei abbracciarti e picchiarti per il dolore che ci siamo trasmessi.

Io, troppo debole per non amare le tue debolezze, 
tu, troppo indifeso per proteggerti dal riflesso dei miei sogni svaniti.

Ci siamo nascosti tra le vigne dalle urla di tuo padre, che ti pretendeva per la vendemmia, quando ancora non avevi braccia fatte per la fatica.

Erano fatte per sognare che la terra potesse diventare una torta e i suoi sassi canditi colorati.

Mi sono nascosta da lui e ti ho nascosto; i tuoi sogni si dovevano realizzare, perché tu eri il mio sogno.

Poi la rabbia che soffocavo dentro di me ha finito per toglierti ossigeno; ti ho costretto a specchiarti in una donna senza coraggio e in un uomo fragile e prepotente.

Te ne sei andato in un giorno qualsiasi, accarezzandomi il viso e ti sei portato via le mie speranze e la potenza dell’uomo curvo che ho tanto amato e temuto.

Torna per aiutarmi a capire chi sei.

Torna perché io possa sperare di comporre con te una nuova torta, vera, fatta della nostra farina, dei tuoi sogni… non solo dei miei.