Caravaggio e il Gruppo della Trasgressione

Angelo Aparo

13-05-2010  

Gli incontri sull'arte

Caravaggio non è diventato uno degli ospiti più assidui del Gruppo della Trasgressione per i suoi trascorsi penali né per il suo temperamento trasgressivo. Non è per la storia della sua vita che Michelangelo Merisi è riuscito a suscitare tanto coinvolgimento nei diversi incontri che abbiamo avuto con lui a San Vittore. La ragione principale di tanto amore è che Stefano Zuffi ha saputo rendere la sua opera, come quella dei tanti autori che ci ha portato in questi ultimi 6 anni, una tela viva e ancora aperta sulla quale tutti i componenti del gruppo hanno potuto proiettare parti significative di sé, parti vive, spesso conflittuali e doloranti, ma anche aneliti, aspirazioni, desideri antichi.

Noi del gruppo, dunque, conosciamo e amiamo Caravaggio soprattutto per i personaggi che ci ha regalato, per le tante "evasioni" che grazie ai suoi dipinti il gruppo ha messo a segno, indossando di volta in volta gli abiti di Narciso, di Matteo o dello stesso Gesù, della zingarella, dei bari, dei due detenuti che assistono alla decapitazione di San Giovanni.

Partendo dai dipinti di Caravaggio e dall'affabilità di chi ce lo ha presentato come amico, noi del gruppo abbiamo progettato e realizzato più di un convegno: uno è stato su "La Chiamata", per il quale abbiamo messo insieme, dello stesso Caravaggio, la "Vocazione di Matteo", "Narciso" che non sa resistere alla voce captativa del suo riflesso sul lago e "La creazione di Adamo" dalla Cappella sistina di Michelangelo; un altro parlava de "Il mio nome, il mio progetto",  per il quale tutto il gruppo ha usato l'immedesimazione con Matteo, con Gesù o con Pietro che media fra i due, come base per interrogarsi, insieme con i cittadini venuti per l'occasione in carcere, su quale tipo di evoluzione ci si attende da chi sconta la pena e su quali strumenti si ritiene possano meglio supportarla. Come il lettore potrà verificare, un altro lavoro, durato per mesi e conclusosi con un convegno alla Università degli studi di Milano, è nato da "Il ritorno del figliol prodigo" di Rembrandt.

Per il 2010/11 abbiamo in programma un convegno su "La guida e la seduzione" e anche in questo caso Caravaggio guiderà la squadra dei tanti dipinti dentro cui entrare e dei tanti personaggi con cui confrontarsi. I personaggi di una tela -disse Zuffi la prima volta che venne al gruppo- aspettano che qualcuno dia loro vita; se questo non accade, rimangono tristi e sterili dentro la loro cornice. Il gruppo ha raccolto fin dal primo incontro il suggerimento e, quella volta, si è prontamente tuffato nella "Tempesta" del Giorgione. Spero che nel prossimo futuro lo si possa fare molte altre volte, magari in compagnia di qualcuno dei lettori di questo libro.

Mentre Caravaggio entrava in galera, il gruppo usciva dal carcere proprio attraverso il muro sul quale sono stati proiettati i suoi dipinti. I tanti pomeriggi che abbiamo trascorso con Zuffi sono stati momenti in cui i detenuti del gruppo hanno vissuto il fremito di intuire emozioni, fantasie, turbamenti, progetti: un giorno erano quelli dei bari, un altro quelli di Gesù nelle due cene di Emmaus, un'altra volta (Vocazione di Matteo) quelli che si accompagnano al progetto di far parte di una squadra con la quale portare avanti un'idea di rinnovamento, una volontà che pare viaggiare al confine tra l'ombra e la luce di una finestra che bisogna intuire e alla quale occorre credere… anche se non la si vede.

… dopo aver sentito Enzo descrivere cosa gli ricordava il quadro del Giorgione e quello che sullo stesso quadro aveva scritto la mamma di Silvia, ho pensato che, oltre agli scritti sulle canzoni di De André, potremmo farne alcuni partendo da quadri che ci colpiscono. Perché non usiamo l’arte della pittura per dare voce ai nostri sentimenti? Penso che potremmo scegliere quadri di autori più o meno famosi e ascoltare quello che ci dicono. Poi potremo coinvolgere un esperto di storia dell'arte ai nostri incontri e commentare con lui, sia i nostri scritti che i dipinti che sceglieremo. Dopo di che, potremo fare un convegno sui dipinti che avremo scelto; i quadri, affiancati ai nostri scritti, ci daranno la possibilità di condividere i sentimenti che ci avranno suscitato con quella parte della società che vorrà rispondere al nostro invito (Ivano Longo, da una riunione del Gruppo a San Vittore, 02-03-2003)

La mia esperienza in carcere

Nel 1979 giungo a San Vittore con i primi consulenti, esperti ex art. 80 del Ministero della Giustizia. Difficile orientarsi, né ci sono psicologi più anziani cui chiedere indicazioni. A farmi da guida nel primo periodo sono i colloqui con i detenuti e le riunioni d’equipe. Scopo degli incontri è rendere tangibili gli obiettivi cui tende la pena, cioè la rieducazione del condannato, il recupero di un’attitudine (forse smarrita, forse mai avuta) a interagire costruttivamente con la società.

Ma mancano le premesse indispensabili perché la comunicazione col detenuto possa puntare autenticamente agli obiettivi suddetti: questi non sceglie il colloquio con lo psicologo di sua iniziativa, lo accetta solo perché necessario a che venga formulata un’ipotesi di trattamento. Egli tende perciò a presentare se stesso come un soggetto che non ha alcun bisogno di diventare altro rispetto a quello che è già. All’autorità e agli esaminatori istituzionali (educatori, assistenti sociali, psicologi) egli mostra il volto di un cittadino già maturo per i benefici di legge previsti; ai compagni di detenzione, il volto del duro. In entrambi i casi, una maschera che ne ostacola l’evoluzione personale: ci si può riconoscere incompiuti e insicuri solo di fronte a chi identifichiamo come supporto al nostro compimento; è difficile farlo con coloro che, proprio per la nostra incompiutezza, potranno giudicarci inadatti allo scopo o una facile preda.

In queste condizioni le insicurezze, se affiorano, allagano la mente. Molto meglio tenerle chiuse a chiave! In carcere (e non può stupire) si preferisce soffocare dentro un’identità posticcia piuttosto che aprire le finestre sulla propria fragilità.

Tante volte, inoltre, chi sconta lunghe pene viene raggiunto e messo con le spalle al muro dai suoi fallimenti affettivi: i figli che si sentono traditi, gli abbandoni… difficile fare i conti con se stessi e rimanere in piedi!

Quanto più mortificanti sono le condizioni in cui il detenuto vive, tanto più egli vagheggia la sua vecchia corazza affettiva come l’unica difesa capace di garantirgli una parvenza di salvezza; dentro la cella, la corazza brilla come la mela che sedusse Adamo. Vorrebbe saperne fare a meno il detenuto e di certo tale rinuncia gioverebbe alla società; ma se la si toglie, dilaga il senso del fallimento e dell’impotenza.

La corazza, Giulio Martino
San Vittore, 2006

Eccomi qua, con la mia corazza addosso
che appesantisce il mio cammino.

Dentro questa corazza
le emozioni soffocano
sotto il peso dell’odio e del rancore.

È stato molto difficile indossarla.
In passato mi ha permesso di sopravvivere.
Oggi è difficile staccarla di dosso.

Vorrei essere aiutato a farlo.
Non è facile per me,
non è facile per gli altri.

Oggi va un po’ meglio. Dagli anni ‘80 l’apertura del carcere al mondo esterno è in continuo aumento. Crescono le attività espressive utili ad allargare gli spazi mentali e affettivi del detenuto; in molti istituti sono oggi presenti numerosi corsi professionali, di pittura, di teatro, di poesia. Il muro personale che il detenuto contrapponeva alle mura dell’istituzione per difendere un’identità cristallizzata, oggi, grazie a mille iniziative, comincia a cadere, anche se mi sembra che egli rimanga una persona che procede un po’ troppo sulla base di progetti e obiettivi altrui.

Io credo che il condannato, per diventare il cittadino che la Legge auspica, abbia bisogno di essere e di sentirsi un adulto che progetta, collabora e si confronta con altri adulti, che gode e soffre con i partner esterni dei risultati e dei fallimenti comuni. Se questo non accade, nella migliore delle ipotesi, egli si sentirà come il bambino per il quale è stato predisposto un programma, ma che dal programma stesso può prendere le distanze appena svoltato l’angolo. Sappiamo che, in definitiva, le cose che amiamo maggiormente sono quelle che concepiamo e nutriamo con la nostra fantasia e per le quali spendiamo il nostro sudore. Tante volte non occorre nemmeno che siano economicamente redditizie; è indispensabile però che la persona vi si riconosca, vi raccolga la gratificazione che discende dall'espressione di parti dimenticate di sé e dal sentirsi riconosciuti dalle persone con le quali si è progettato insieme.


Il Gruppo della Trasgressione

Il mio contributo specifico in tal senso ha preso forma nel 1997, quando con una ventina di detenuti di San Vittore abbiamo fondato il Gruppo della Trasgressione. Fra i tanti obiettivi di allora, il primo consisteva nel promuovere le condizioni nelle quali i detenuti potessero interrogare la propria storia senza accontentarsi di risposte scontate o che dovessero servire per le sintesi dell’equipe; un altro era legato alla mia personale motivazione a indagare sull'impulso a trasgredire -e spesso a distruggere- che l'essere umano vive quando si sente confinato entro spazi troppo angusti (spazi fisici, emotivi, progettuali). Sarebbe stato possibile recuperare e valorizzare i risvolti potenzialmente costruttivi dell'impulso a trasgredire?

Ricordo con quanta foga ci si accapigliasse sugli argomenti che sono subito diventati il nostro terreno elettivo di confronto (la sfida, la maschera, il processo della scelta). I primi incontri sono disordinati, tumultuosi, ma molte persone sembrano sinceramente interessate. Non è facile superare le resistenze di molti detenuti verso un'attività che comporta un mettersi in gioco assai più di quanto sia costume all'interno delle mura carcerarie. Anche se lo stile della comunicazione fra i partecipanti lascia molto a desiderare, nel giro di qualche settimana si viene a creare una base comune di interrogativi, di idee e di intenti. Ci si chiede, insieme con i primi ospiti, se esista una matrice comune nel comportamento distruttivo di chi trasgredisce alle regole con danno per sé e per gli altri; nelle sfide con cui l'adolescente testa la propria identità; in quelle trasgressioni ai codici che così frequentemente avvengono nel campo dell'arte, della scienza, del costume, e che contengono un potenziale creativo e di rinnovamento della società.

Sono trascorsi 12 anni. Oggi il gruppo è composto da detenuti e da liberi cittadini; è attivo a Milano all'interno delle carceri di San Vittore, Opera e Bollate e nella sede esterna dell'ASL Milano di Via Conca del Naviglio e collabora con decine di insegnanti e studiosi di diverse discipline. Da una decina d’anni esiste www.trasgressione.net, il sito dove il gruppo raccoglie i suoi scritti e li propone al confronto con il mondo esterno.

Le riflessioni e l'impegno dei primi detenuti del "Gruppo della Trasgressione" e l'interesse per i loro scritti dimostrato dagli studenti dei corsi di “Psicologia della devianza” che tenevo alla Università Statale di Milano mi hanno suggerito di cercare, anche al di fuori delle mura istituzionali, alleati con cui esplorare le diverse possibili strade della rieducazione cui, secondo la legge, la pena deve tendere.

L'art. 27 della Costituzione italiana e la legge N°354 del 1975 dicono espressamente:

"le pene devono tendere alla rieducazione del condannato";

"… La finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all'azione rieducativa".

Che cos'è il carcere? Lo conosciamo per le mura e per la sua funzione di separare chi sta dentro da chi sta fuori. Come la psicoanalisi insegna, l'uomo stesso ha dentro di sé delle mura, mura che separano parti del soggetto che difficilmente possono dialogare senza scontrarsi fra loro. Proprio per questo, il carcere è divenuto un terreno proficuo per intraprendere un lavoro sulla trasgressione e sulla sfida. Su questo terreno di gioco abbiamo potuto constatare che le mura del carcere, pur continuando ad essere emblematicamente rappresentative delle separazioni, possono anche alimentare la voglia di superarle.

Costante del nostro modo di procedere è la ricerca delle analogie e delle differenze che corrono fra le più comuni e semplici fantasie, i piccoli vizi e le nevrosi personali, gli abusi di potere sulla propria e altrui libertà. Obiettivi del Gruppo della Trasgressione sono principalmente: l’evoluzione personale e professionale di chi ne fa parte; la ricerca di un rapporto fattivo fra carcere e società. Liberi cittadini e detenuti si confrontano su temi che riguardano esperienze di sconfinamento, come la trasgressione, la sfida, l'abuso, il rancore, il rapporto con la Legge, il divenire dell’identità del cittadino. Si tratta di un seminario permanente, con alcuni temi privilegiati sui quali si torna spesso, e altri che ne costituiscono di volta in volta dei possibili sviluppi. Punti di partenza della riflessione sono i sentimenti che si accompagnano ai primi reati, all'abuso di sostanze stupefacenti, all'insoddisfazione che tante volte vivono gli adolescenti nel rapporto con le proprie risorse e con gli adulti.

Dagli incontri nascono documenti che vengono letti e commentati pubblicamente e poi inseriti sul sito www.trasgressione.net. Quando il gruppo dimostra di avere raggiunto una discreta preparazione su un tema, si organizza un convegno o un concerto aperto ai cittadini. Oltre a quelli già citati, quelli su l’Imperfezione; la Sfida; la Punizione; le Funzioni della Legge; il Rapporto Genitori/Figli; Le domande abortite del bullo; il Male; Micro e macroscelte; La nicchia, la crosta e il rosmarino -per citare i più rappresentativi- hanno avuto luogo in carcere, in università, in sedi del Comune di Milano, in teatri, sempre in combinazione con la presenza eterogenea di esperti capaci di stimolare il gruppo a intrecciare i propri sentimenti e le conoscenze maturate fino a quel punto con i grandi temi della nostra cultura.

I relatori sono professionisti e docenti universitari di discipline diverse e gli stessi membri del gruppo. La competenza degli esperti e l'esperienza di chi ha abusato del proprio potere vengono poste sullo stesso tavolo per coltivare il piacere e il valore di porsi domande insieme. Il giurista e il rapinatore, il giornalista e l'omicida, lo studioso d'arte e lo spacciatore s’interrogano sulle condizioni, sulle relazioni che possono favorire od ostacolare un rapporto costruttivo con se stessi e con gli altri.  Lo scopo è entrare nelle storie sbagliate per conoscere l'immagine che ciascuno ha di sé e promuoverne l'evoluzione attraverso la comunicazione con la società esterna, lo studio, la coltivazione della creatività dei membri del gruppo.

Nel tempo, il Gruppo della Trasgressione ha stabilizzato la collaborazione con docenti di storia dell’arte, di letteratura, di diritto, di filosofia; con gruppi di scout; con studenti universitari e neolaureati che vengono al gruppo per fare tirocinio o per diventarne membri effettivi; con insegnanti di scuole medie superiori in relazione all'attività di prevenzione di bullismo e tossicodipendenza.

Negli ultimi anni i detenuti hanno potuto provare il Piacere della Responsabilità (è il titolo di un nostro convegno), portando il lavoro svolto su se stessi nelle scuole. Tali incontri aiutano il detenuto ad esercitare la propria identità di cittadino e l'adolescente a procedere nel suo percorso evolutivo; inoltre, mentre detenuti e adolescenti diventano, reciprocamente, agenti per la responsabilizzazione e per l’emancipazione dell’altro, si produce un rapporto di fattiva collaborazione con le istituzioni da parte di due categorie di persone che, tradizionalmente, hanno verso le rispettive istituzioni una forte diffidenza.

Si sa che le diverse attività lavorative in carcere aiutano il detenuto ad acquisire delle competenze per affrontare il ritorno alla libertà, ma l’ex detenuto, per diventare un cittadino responsabile, oltre che del lavoro, ha bisogno di bonificare i sentimenti che lo avevano indotto a delinquere e di irrobustire un’identità sociale e progettuale coerente con gli interessi della collettività. Il Gruppo della Trasgressione agisce come un contenitore nel quale risorse e fantasie abbandonate recuperano spazio e volontà di esprimersi; in altre parole, una camera di gestazione nella quale, senza forzature e senza indottrinamenti, il detenuto riprende un percorso interrotto. Il risultato è che chi ha commesso reati, dopo qualche anno di lavoro, non sente di tradire l’immagine di sé con la quale ha vissuto all’epoca dei reati, ma piuttosto di recuperare quello che di sé aveva perso per strada. Credo che studiare insieme con i condannati favorisca l'evoluzione dell'identità civica della persona deviante più di quanto possano fare gli studi di criminologia.

Per individuare meglio e in maniera più divertente il cammino, spesso ci lasciamo guidare dalle opere d’arte e dagli studiosi che vengono a parlarcene. Detenuti e studenti del gruppo, rincorrendo e alimentando le rispettive curiosità, vivono il piacere del gioco di squadra e della responsabilità verso i compagni: un modo per interiorizzare le regole del vivere insieme, invece che subirle. Uno dei nostri ultimi convegni aveva un titolo ambizioso: Desideri, illusioni, costruzioni. Ma le costruzioni, chiunque se ne dichiari fautore (detenuti, studenti, cittadini, responsabili delle istituzioni), richiedono condizioni propizie, impegno, alleanze e investimenti tangibili.

La collaborazione con gli studiosi e con i liberi cittadini con cui  portiamo avanti progetti comuni ci dà ogni volta il piacere di condividere nuove e motivanti responsabilità. Per questo siamo grati a coloro che vengono al gruppo a portare competenze, idee e determinazione a progettare insieme; per questo siamo grati a Stefano Zuffi e alla presente iniziativa editoriale.

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Link utili:

Gli incontri sull'arte del Gruppo

I libri Feltrinelli di Stefano Zuffi

Altri libri di Zuffi

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