Il secondo piano

Ivano Longo

24-11-2003  

C’è un istinto, se istinto si può chiamare, che mi fa veramente paura e rabbia.

Lavoro al “call center” all’interno del carcere San Vittore, e quando la mattina vado al lavoro, passo da un reparto all’altro attraversando anche il secondo piano del sesto raggio.

Questo è un reparto di “protetti” perché ci stanno quelle persone che noi definiamo “infami” per aver accusato qualcuno che ora si trova in carcere, e insieme a loro, violentatori e pedofili. Il cancello di quel piano è sempre chiuso e, a differenza degli altri, ha delle lamiere per impedire la visuale al suo interno. Mi fa un certo effetto passarci vicino perché io so che all’interno ci sono quelle persone che hanno violentato anche i bambini.

L’altro giorno, per caso, il cancello era socchiuso, ho sbirciato dentro per curiosità, per cercare di vedere il volto di qualcuno di loro, poi ho continuato a salire le scale fino all’ultimo piano dove lavoro. Poco dopo, mentre rispondevo a persone che mi chiedevano un numero di telefono o una via, il mio pensiero è ritornato al corridoio di quel piano.

Mi sono chiesto come mai ho sentito il bisogno di sbirciare all’interno di quel piano. Lasciando da parte la curiosità e riflettendo meglio, credo di aver sentito il bisogno di guardare dentro perché quella è una situazione che non riesco a comprendere e che mi fa un certo effetto.

Da una parte, credo che questi uomini siano dei soggetti malati e quindi bisognosi di cure, d’altra parte non mi piace considerare quello che hanno fatto come il risultato finale di una malattia.

Ma se dobbiamo tenere conto del fatto che i comportamenti di un pedofilo derivano dalle violenze subite, siamo costretti a fare molti passi indietro per poterne fare uno in avanti e per cercare di capire questa realtà. Se partiamo dal presupposto che i bambini violentati oggi potranno essere i pedofili del domani, occorre che da parte nostra si cerchi una visione più ampia delle cose.

Questo non vuol dire che dobbiamo perdonare il pedofilo perché ha subito a sua volta una violenza, ma abbiamo il dovere di guardare questo evento come la conseguenza di un atto non voluto, ma subito.

È difficile per me guardare questi individui come persone da perdonare in quanto, a loro volta, vittime di una violenza; mi soffermo sul tipo di violenza che loro hanno commesso su dei bambini e questo non posso accettarlo. Ma cos’altro posso fare se quella violenza va al di là di quello che io posso tollerare?

A questo punto mi sono guardato intorno e ho “scoperto” che siamo tutti in carcere e che, anche se per ragioni diverse, siamo stati tutti allontanati dalla società. Allora ho pensato che, se la società ci ha allontanato, forse abbiamo qualcosa in comune?

Credo di si, cioè che entrambi abbiamo commesso dei reati.

Credo che il mio reato sia più tollerato dalla società quando è paragonato alla violenza sulle donne o sui bambini. Mi rendo conto che noi, come anche la società, non siamo ancora pronti a voler capire questo tipo di realtà; la guardiamo con sospetto, con ribrezzo e rabbia, ma non siamo ancora pronti per guardarla come si fa con le cose che si cerca di capire.

Ricordo che in un periodo particolare ci fu anche qualche politico che propose la castrazione chimica per certi reati. Questo, a parer mio non è accettabile! Se è vero che sono dei malati, bisognerebbe dare loro la possibilità di guarire, o di essere curati, altrimenti ci metteremmo sullo stesso livello di chi uccide.

Sta di fatto che ogni volta che sento una notizia del genere, d’istinto sento che queste persone non dovrebbero essere né condannate né curate, ma date in pasto ai familiari delle vittime. Poi, con la ragione, se ragione si può definire, cerco di calmarmi e di non pensarci più di tanto.

È una situazione difficile, ma non impossibile da affrontare. Ho paura di incontrare quegli istinti anche dentro di me, e anche se so che non violenterò mai nessuno, mi mettono paura. Credo che sia come il fatto di non accettare di avere anche una parte femminile dentro me, per paura.