L'albero di pesche noci

Gerardo Gadaleta

07-10-2009  

Avevo cambiato casa, sono andato ad abitare ad Assago, davanti e dietro l'abitazione c'era uno spazio dove poter piantare quello che si voleva. Un paesano di Cerignola mi regalò un albero di pesche noci. Parlando gli dissi di avere cambiato casa e di avere il giardino ampio, lui mi disse: “ti do un albero di pesche noci, è una pianta buonissima”.

Tornando a casa ho piantato questo albero. Era piccolo, lo curavo come se fosse un bambino. Mia moglie mi prendeva in giro per come lo curavo. Man mano che cresceva mi dedicavo sempre più a lui, posso dire che gli parlavo come se fosse una persona, anzi, era il mio bambino.

Dopo hanno cominciato a germogliare dei fiori e poi, in soli 2 anni, dei frutti. Il giorno che li vidi ero felice come una Pasqua. Gridai di gioia, chiamai mia moglie e si meravigliò anche lei. Era felice e mi disse: “tu con questa pianta sei andato fuori di testaperò l'hai fatta crescere bene, bravo, bravissimo”. Anche ai miei figli piaceva, anche loro mi hanno fatto i complimenti.

Dopo circa un anno fui arrestato. Durante un colloquio mia moglie si ricordò dell'albero e mi disse: “sai, l'albero che tu hai piantato, dopo il tuo arresto aveva cominciato ad ammalarsi, ho fatto di tutto per farlo riprendere, ma non c'è stato niente da fare. Anche il giardiniere ha fatto di tutto per farlo guarire, ma peggiorava sempre di più, così si è seccato. Mi dispiace, ti chiedo di non arrabbiarti

Rimasi molto male, mi arrabbiai con i miei accusandoli di non aver curato il mio albero. Mi sono chiesto se era possibile che la pianta si fosse ammalata perché non me ne ero occupato io. Poi ho pensato: ma se una pianta si ammala perché non ha più vicino la persona che l'accudiva come se fosse una persona, figuriamoci un parente, o un figlio cosa può provare quando viene a mancare suo padre.

 

Reperti di paleoantropologia rintracciati nel carcere di Opera in data 7-10-2009.