A neppula

Antonio DI Mauro

07-01-2010  

Non so quanti anni sono passati senza mai rievocare ricordi della mia infanzia e dell'adolescenza… credo siano decenni. E' successo al gruppo, in occasione del convegno sul tema degli eroi. In quel periodo, per motivi di studio, sono stato "costretto" a tornare a quei ricordi che ho ancora estremamente lucidi, anche se non capisco per quale motivo.

Adesso nuovamente, mentre si parla di immagini e sensazioni diverse di libertà, il solito tiranno del dott. Aparo cerca di costringermi a ricordare cosa si prova in certe occasioni e quali diversi stati d'animo siano collegati ai ricordi. Io, comunque, ero e mi sento libero di rispondere o meno e così, da buon Siciliano, accetto la sfida. 

Avevo circa quattro anni, abitavo in quel "cortile della pace" dove sono venuto al mondo. Da quando ho cominciato a dare un nome alle cose che mi dava mamma Sarina, il ciucciotto e i pupazzetti di gomma o di plastica dura, il ricordo che ho impresso nella mente "a fotografia" è la vespa di papà lgnazio.

Io la chiamavo a neppula di papà e quando lui doveva metterla in moto, gli dicevo: papà a mettu iu a motu a neppula.  E così mio padre, quando doveva avviare la vespa per andare a lavorare, pigiava sul pedale meccanico facendo bene attenzione a che tutto "avvenisse per merito mio". In quel momento, più felice di Ninuzzu credo non ci fosse nessuno.

La sera, quando si avvicinava l'orario del ritorno di papà Ignazio, mi piazzavo all'entrata do cuttigghiu e non mi muovevo per nessuna ragione, fino a quando non vedevo apparire la sagoma della vespa color grigio con la scritta Vespa in corsivo, che spiccava in alto a sinistra del paragambe. Sul parafango della ruota anteriore c'era un fregio cromato, il manubrio dalla forma arcuata era anch'esso cromato. Il rumore lo riconoscevo non appena papà imboccava la via Reitano. Quando faceva ingresso nel cortile io cominciavo a saltare e a corrergli incontro e mio padre doveva faticare non poco per non mettermi sotto. Non appena si fermava, io col musetto a cucchiaino gli dicevo: "papà, a ttutu iu a neppula", e lui, prendendomi un ditino e pigiandolo sul bottone del manubrio, spegneva il motore, rendendomi felice.

Un giorno, non appena papà smontò dalla vespa, guardandolo dal basso verso l'alto, con le braccia protese in avanti e i polsi che si snodavano come ad accelerare, gli dissi: papà bruum bruum, papà bruum bruum: volevo guidare la vespa! Quando capii che questo non accadeva, piansi fino allo sfinimento e mi addormentai. Non passò giorno che il mio desiderio, "di guidare", non si rinnovasse, unitamente al mio pianto che avveniva tra singhiozzi e bruum, bruum.

Un bel giorno sentii l'inconfondibile rumore della neppula di papà. Lui era fermo sulla vespa all'ingresso do cuttigghiu e mi fece cenno con la mano di avvicinarmi, mi precipitai. Lui mi afferrò per un braccio e mi ritrovai in piedi sulla pedana della neppula con le mani strette sul manubrio. Partimmo!

Descrivere cosa ho provato non è cosa facile, ma ci provo! Sentivo la vibrazione e il rombo del motore, che saliva dai piedi, attraversando tutto il corpo fino alla cima dei lunghi capelli che, mamma Sarina, con tanto amore mi aggiustava, pettinando, al centro della testa, il famoso cannolo.

Era un accavallarsi di emozioni, paura dell'imprevisto che veniva però sovrastato dalla gioia immensa di sensazioni mai percepite. Sentivo il vento sul viso, che quasi mi mancava l'aria. Credo che in quel momento, senza rendermene conto, avevo raggiunto l'apice della libertà. Ho provato quello che solo un angelo può provare.

Per continuare sulla traccia dell'ultima lezione del dott. Aparo, potrei aggiungere quello che ho provato all'età di undici anni quando ho conosciuto l'innamoramento; potrei raccontare di quando sono nati i miei figli. Riuscirei anche a descrivere gli stati d'animo provati quando ho commesso certi reati, ma non voglio assolutamente guastare la sensazione di libertà che sto assaporando in questo istante, raccontandomi e raccontandovi di Ninuzzu e della Neppula di papà.