Domande


Stefano Manzoni

  04-03-2008

 

Penso che un workshop per essere tale deve indurre domande e riflessioni, deve suscitare sorpresa, deve anche ogni tanto “spaventare”. L’incontro con il gruppo della trasgressione non è cosa che accade tutti i giorni, e proprio per questa sua eccezionalità rispetto alla mia vita, alla vita di un ragazzo di 18 anni, necessariamente si sono rilanciate dentro di me domande ormai sopite e nuove se ne sono aggiunte.

Che cosa è identità?  Cosa è libertà? Cosa è responsabilità? Chi è che sbaglia? Perché sbaglia? Alcune domande  hanno forse iniziato ad avere risposta in questi giorni, altre sicuramente no, come del resto è giusto.

Sicuramente ho compreso come la responsabilità e, quindi, il senso “civile” che ci lega ad altri uomini possa passare quasi unicamente attraverso il concetto di riconoscimento. Riconoscimento innanzitutto di se stessi. Solo nella comprensione di sé, “liberi” dalle costrizioni delle abitudini conformanti, dalla necessità di essere “qualcuno” di fronte all’altro e quindi “qualcuno” al di sopra dell’altro, un uomo può muovere passi coerenti, e quindi riconoscibili, nella propria vita. Credo che come rover, come scout che pensa alla partenza, questa consapevolezza mi sia necessaria, consapevolezza che ha tratto giovamento anche dall’incontro con il gruppo della trasgressione.

Questo processo di conoscenza di sé è sicuramente una costruzione progressiva e una costruzione dialogica. Ed ecco il secondo significato di riconoscimento, come rapporto che ci lega strettamente all’altro. Chi inizia a “costruirsi” necessita, infatti, di un punto di riferimento esterno, necessita di essere riconosciuto dall’altro e ciò avviene nella misura in cui nella nostra “costruzione” siamo è capaci di coinvolgere l’altro.

Penso che tutto ciò mi abbia insegnato ancora meglio il significato di “pongono il loro onore nel meritare fiducia” primo articolo della legge scout. Solo come uomo in “costruzione” continua, solo come uomo che riscopre progressivamente che parte di sé si trova nell’altro, solo ponendo come punto di relazione questa consapevolezza, che corrisponde a tutto ciò che ci rende uomini (“l’onore”), è possibile costruire legami “meritevoli di fiducia”, legami che riferendosi ancora alla legge scout si potrebbero dire “leali”, di “amicizia”.

E infine, riconoscimento che si lega strettamente a responsabilità. Si potrebbe dire: “la fatica del riconoscimento per il piacere della responsabilità”. E’ infatti il riconoscimento che può portare al piacere della responsabilità: riconoscimento in quanto legame con l’altro, riconoscimento come processo di comprensione della norma che regola i nostri legami con l’altro. Nella completa accettazione dell’altro e delle norme, che a prima vista potrebbero sembrare una limitazione, l’uomo trova nuovi spazi di libertà.

Spazi di libertà che sono spazi in cui l’uomo può operare una delle sue più profonde necessità: compiere scelte. Scelte coerenti, scelte “riconoscibili”. Da questo punto nasce proprio una domanda che mi è sorta al workshop e che vorrei condividere. Nell’incontro di domenica mattina il dottor Aparo diceva che ogni persona ha la propria identità “cattiva” da lavorare e proprio da qui parte la mia domanda.

La nostra libertà è collegata al fatto che ogni uomo nasce con un’”identità cattiva”? Mi spiego meglio. La libertà innata di ogni uomo non risiede forse proprio nel fatto che ogni uomo vive nella necessità di scegliere fra due possibili modi di costruire? Estremizzando, la possibilità di riconoscersi nell’altro e la necessità di scegliere se e quanto investire sulla relazione con l’altro?

La città di Daniela