Lettera al Presidente

Giulia Secco

Carcere di Bollate

02-06-2012

Caro Presidente, è difficile iniziare questa lettera..

Mi chiamo Giulia, ho 26 anni e da grande vorrei fare la psicologa. Ma non è solo questo il motivo per cui sono membro del Gruppo della Trasgressione. Ho incontrato il Gruppo in un momento particolare, quando un mio compagno di banco, apparentemente dotato di tutto il necessario per essere felice, ha deciso di darsi all’eroina e di farsi arrestare per rapina a mano armata.

Quando episodi simili riguardano una persona che conosci da vicino, cresce il senso di smarrimento e d’impotenza e, soprattutto, la linea che divide buoni e cattivi diventa indefinibile. E così oggi non mi sento più vaccinata nei confronti delle difficoltà che la vita mi presenterà.

L’incontro col gruppo è avvenuto in quel momento sospeso… forse prima non avrei avuto la curiosità di vedere i detenuti come persone che forse si sono trovate sole, come tante volte è successo a me, e nella solitudine hanno sbagliato percorsi, scelte, alleanze…

Per entrare nel gruppo è richiesto un unico requisito: sedersi attorno al tavolo alla ricerca di consapevolezza e di bellezza, nel tentativo di chiamare i propri errori per nome. Sedersi al tavolo del gruppo è una scelta costosa; lo fa chi è disposto a lasciarsi chiamare per nome, chi non si accontenta dei convenevoli. Non è facile uscire dalle gabbie dentro cui viviamo. Che siano di ferro o auto-imposte, restano comunque difficili da abbattere… e se lo fai, vai incontro a un senso di instabilità.

Tra le mura del carcere di Opera ti può capitare di sentire o di vedere un papavero in un’insenatura nel cemento. Quanta forza ha la vita anche in un ambiente ostile! Avrò io quella forza di reagire responsabilmente di fronte ai problemi? Riuscirò a non farmi ammaliare dalle facili ricompense?

Al tavolo del Gruppo della Trasgressione ci si accorge che viviamo tutti con incognite e incertezze. Ma quanto è pronto questo mondo ad accettare i nostri errori? A considerarsi corresponsabile delle nostre debolezze? Quanto questo mondo è disposto a offrire seconde possibilità o, ancor prima, ad accogliere chi si affaccia speranzoso al futuro?

Non le chiedo di rispondere a queste domande, ma di partecipare con noi alla costruzione di una o più risposte che ci rendano più uomini, più donne e più liberi. Noi sappiamo che c’è chi finge che le nostre domande non esistano, ma chi finge trascura che, come un boomerang, torna ciò che si cerca di evitare.

Noi siamo tutti dei pezzi di legno unici, abbiamo le nostre forme e venature. Solo il lavoro di mani abili ed esperte può farci diventare levigate opere d’arte, incapaci di procurare schegge a chi ha il piacere di accarezzarci.

A presto
Giulia Secco