Un concerto in Università

Introduzione al concerto del 28-03-2007

 

Prof.ssa Mariella TIrelli

  28-03-2007

Una situazione inconsueta, un concerto all’Università, le canzoni di De André e i suoi personaggi imperfetti e sghembi rispetto alle regole, un gruppo che si definisce della trasgressione, composto da detenuti, ex detenuti e studenti, qui, nella Facoltà di Giurisprudenza, a testimoniare, appoggiandosi a quei personaggi imperfetti e sghembi, i risultati di un percorso comune.

Una provocazione? No, soltanto il frutto dell’alleanza fra forze diverse che credono nel confronto, nello scambio di esperienze, che non si adagiano sul conformismo dei luoghi comuni e delle separazioni, sulla incomunicabilità dei ruoli e delle posizioni.

Mi sono avvicinata al Gruppo tre anni fa e sono rimasta. Quel giorno si parlava - il pretesto era stato fornito da un detenuto - de “Il conte di Montecristo”, e quindi di odio, rancore, vendetta, tradimento, amore, giustizia: i sentimenti e le situazioni che agitano la vita di tutti e dalla cui riconoscibilità ed equilibrio dipende la nostra relazione con gli altri.

Di questo si parla al Gruppo, usando gli strumenti della cultura. Tramite la cultura si tenta di dipanare i fili ingarbugliati della vita, di conoscere e riconoscere il confine fra quello che si può fare e non si può fare, di ripercorrere le condizioni che hanno portato a valicare il confine. Quelle motivazioni a delinquere che, talvolta, sembrano non essere prese in adeguata considerazione dagli operatori della legge, difesi dalle “sicurezze” del comando,  della regola.

La frequentazione del Gruppo mi ha consentito di dare un significato attendibile all’obiettivo della pena, individuato dalla Carta costituzionale e dalla legge di Ordinamento penitenziario nella rieducazione del condannato: un concetto ambiguo e, per questo, suscettibile di diversa interpretazione.

La frequentazione del Gruppo mi ha altresì convinto che la rieducazione, nel senso della responsabilizzazione, del reinserimento sociale, della crescita armoniosa anche dell’uomo condannato, è praticabile. E’ un lavoro impegnativo e difficile senza il quale, tuttavia, gli strumenti istituzionalmente volti alla rieducazione, quand’anche siano fruibili, tendono a fallire.

Il mio impegno nel Gruppo è stato quello di contribuire ad avvicinare i suoi membri, detenuti e non, alla legge e a quanto questa parola riassume, una realtà sovente percepita come ostile, nemica e nei confronti della quale anche chi non è detenuto,  prova diffidenza.

Conoscere il confine fra quello che si può fare e non significa conoscere le ragioni di un comando o di un divieto che riflette esigenze comuni, valori condivisi, la possibilità di essere uno fra gli altri, di riconoscere ed essere riconosciuti. Solo interrogandoci in modo consapevole sulle ragioni e sui valori della legge, invece di utilizzarla come giustificazione o pretesto, possiamo contribuire a migliorarla.

Chiedo agli studenti del mio corso di voler conoscere il Gruppo della Trasgressione

 

Per questi motivi, ritengo importante avvicinare gli studenti al Gruppo e, per questo, oggi, siamo a presentare il risultato di una delle diverse ricerche compiute verso la consapevolezza, da Dumas a Dostoevskij a De André, da Rembrandt a Picasso, dalla percezione della legge alla punizione, alla pena.

Affidiamo a voi l’aspettativa di un futuro dove l’avvocato non sia complice del suo assistito, il P.M. non sia soltanto accusatore, il giudice sia attento al valore tutelato e ne consenta la evoluzione, il futuro legislatore proteso a realizzare le condizioni per una crescita equilibrata del cittadino e dove, tutti insieme, gli uomini cui saranno affidati questi ruoli si diano carico della corretta interpretazione della legge e della sua applicazione.

Che cosa ha dato a me il Gruppo? Forse la possibilità di ricondurre alla legge un po’ del suo senso smarrito.