Parlando con le stelle

Eric Bozzato

16-12-2004  

Ricordo che eravamo bambini, il mondo pareva essere una magia lontana, un traguardo da raggiungere da grandi; alle 22 e 30 l’ordine di spegnere la TV era tassativo, con le canzoni si giocava ad immaginarsi vite avvincenti, donne adulte, macchine di lusso, serate divertenti senza orari di rientro, per strada fra di noi organizzavamo risse contro i gruppetti di ragazzi dei rioni vicini, ci si scambiava figurine, si giocava a pallone, si bigiava la scuola e si fumavano sigarette di nascosto…

Di notte, la sera, uscivo dalla finestra e seduto nel centro di un giardino trascurato, fumavo una sigaretta e, stretto nella mia felpa col cappuccio, alzavo gli occhi su un nero profondo e giocavo a creare figure con le stelle più emozionanti. Parlavo… chiedevo ad entità divine che mi facessero fare fortuna. Sognavo di viaggiare, di essere forte e bello e di non avere più quel senso di paura che mi accompagnava nelle mie, seppur infantili, riflessioni. Non sapevo chi era Dio, né sapevo se fosse quello il suo nome, ma avevo la sensazione che l’intero universo fosse lì… attento ad ascoltarmi.

 

Notte stellata, Van Gogh

 

Sulla strada si cresce alla svelta; anzi forse no, ma sembra di sì. Appena ne concepisci l’efficacia, il denaro diventa lo strumento principale per costruirti un’identità in un mondo che già a tredici, quattordici anni ti appare ingiusto; vedi angeli senza cielo e capisci che non è il catechismo il luogo dove scegliere di passare i tuoi pomeriggi. Ci sono già passioni da controllare e adrenalina a cui dare corso sfrecciando col tuo motorino truccato proprio davanti alla caserma della polizia. Sei solo un pirla in realtà, ma forse dentro di te lo fai apposta per vedere se c’è un Dio e se è pronto ad intervenire per portarti sulla retta via.

Gli anni passano veloci, le prime ragazze, i primi bocconi amari, che immagini necessari perché la tua vita possa cambiare, ultime svolte prima di un futuro luminoso; ogni amore finito sembra insignificante rispetto a quello che segue due settimane dopo. Bob Marley, Kurt Kubain, Jim Morrison, due canne in tasca, una compagnia formata da singoli individui che si creano un’immagine migliore e più falsa possibile per potere emergere, per essere protagonisti fra tante voci che compongono un coro di rabbia, ognuno per le sue motivazioni che, importanti oppure no, creano un coro di disagi.

Poi arrivano i tanto attesi diciotto anni, dopo mille vicissitudini, mille emozioni, mille sogni ma anche mille delusioni scoperte nel cassetto della scrivania del Signore. Ti siedi, con il tuo amico cappuccio dell’inseparabile felpa, in un giardino che ormai non è più il tuo e non è più trasandato. Hai solo diciotto anni, ma le ferite sulla pelle già si notano; alzi il volto verso il cielo per un punto di riferimento… la tua stella… abbassi gli occhi… ti viene il magone. Un sorriso beffardo prende il sopravvento sulle lacrime, mentre cerca di convincerti che tu non stai male, e ti dici: “Ma sì, perché non guardarla ‘sta stella”.

Sei ancora sdraiato, non sai se non hai le palle o se comunque è giusto così, la tua medicina non la conosci, ma ha lo stesso calore dell’abbraccio di una madre che non ti chiede niente, se non di fare il bravo e, finalmente, addormentarti.