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La mia ricchezza

Ivano Moccia

28-01-2006  

Ricordo la mia vita da adolescente come se fosse ieri; vorrei tornare indietro, ma ciò che è fatto è fatto.

Ricordo quando andavo a scuola, avevo circa 12/13 anni, e anche le molte volte in cui non andavo perché provavo vergogna. Il mio abbigliamento non era uguale a quello degli altri ragazzi, vuoi per le scarpe, vuoi per i pochi soldi in tasca. Non potevo andare in gita con loro, non potevo fare nulla di fronte alla povertà: i miei compagni avevano i libri per studiare mentre io no. Che imbarazzo davanti ai miei compagni!

Crescevo e maturavo rabbia a tal punto da fantasticare spesso su come sarebbe stato bello nascere in seno ad una famiglia benestante.

Mi piaceva il calcio, ero bravissimo e fui comperato dalle giovanili del Milan e desiderato da altre squadre, Inter, Parma, Brescia. Arrivai alla categoria giovanissimi nazionali, ed il calcio era tutto per me, era la cosa che mi riusciva meglio e mi faceva sentire uguale agli altri.

All’eta di 15/16 anni iniziai a trasgredire la legge.

Abitavo al primo piano di una portineria, scappavo dal balcone per andare in un parco dove la vita era illecita, mi sentivo spensierato e già grande rispetto ai miei coetanei, soldi in tasca facili.

Cominciai a comperarmi cio che volevo da tempo e mi sentivo un po’ un dio. I miei genitori ci hanno provato in tutti i modi a fermare cio che facevo e cui andavo incontro. Ma ormai era tardi. Mi sentivo già grande e utile, ma in realtà ero solo un ragazzino incosciente che aveva intrapreso una strada che mi avrebbe portato solo a buttare via la vita.

Ma andavo sempre avanti con la mia curiosità, la mente offuscata e l’euforia dei soldi, incosciente di bruciare le tappe dell’età troppo in fretta. Iniziai con il carcere minorile a 17/18 anni e poi subito dopo in quello “dei Grandi” di San Vittore di Milano, a vent’anni nel carcere di Vasto, lontano dai miei cari e da tutto. Nonostante fossi solo un ragazzino, trascorsi due anni senza vedere nessuno della mia famiglia.

Ricordo che tutti i detenuti di Vasto coltivavano gli afffetti facendo i colloqui, ma io e la mia famiglia eravamo molto distanti e ci dividevano 1000 km. Uscii dal carcere di Vasto, ma in libertà ci restai veramente poco e quattro mesi dopo ero nuovamente dentro, questa volta a L’Aquila, sempre lontano dalla famiglia e da una sorella di 17 anni di nome Sarah, che morì in quel periodo di leucemia fulminante tra le sofferenze.

Ero chiuso in me stesso e accumulavo rabbia e sofferenza per la morte di mia sorella e mi trovai nel carcere di Civitavecchia.

A 25 anni  comincio a rimpiangere di non aver ascoltato i miei genitori: loro, malgrado le ristrettezze economiche, mi hanno sempre dato buoni consigli; io, per la mia strafottenza, li ho sempre rigettati e ho buttato la mia adolescenza.

Oggi ho 28 anni, mi trovo qua in carcere, rimpiango la mia vita da adolescente che ho buttato via, che non posso riprendere e che nessuno mi può ridare. Se potessi tornare indietro, continuerei gli studi; invece di tenermi dentro le mie sofferenze, proverei a condividerle. Sono certo che almeno dentro di me, ero ricco, a differenza di oggi.

Mi dico sempre “mio padre aveva ragione”; dovevo ascoltarlo, ma io non ho mai ascoltato questa persona che voleva il mio bene. Adesso sono qui da due anni e mezzo con ancora otto anni da scontare. Malgrado le mie condizioni, cerco di non far commettere i miei stessi errori a mio figlio “Mike” di otto anni.

So di non essere un buon esempio, ma per ora c’è molto dialogo e questo è già una buona cosa, diversa da quello che vivevo io, quando ero un ragazzino chiuso. Tenevo tutto dentro di me, sofferenza, rabbia… grosso errore!