Al parco

Enzo Martino

17-12-2004  

Seduto su una panchina in un parco di un piccolo paese, ai confini di una grossa città, sento delle voci di madri incrociarsi con quelle dei loro bambini. Oltre quella siepe sembra un altro mondo, eppure sono distante pochi metri da quell’allegro vociare. Oggi mi sento stanco, ho voglia solo di stare seduto a prendermi gli ultimi raggi di sole prima dell’inverno.

Voglio tenermi stretto a quei raggi di sole, come quei bambini alle loro madri. Li vedo correre fin dentro le loro braccia a prendere forza e, subito dopo, allontanarsene felici, a cercare la loro libertà, il loro divenire.

Forse la gioia degli altri mi turba. Forse il grasso di cui mi sono cosparso per sopravvivere a questi anni di freddo si è consumato. Quei bambini, come gocce d’acqua, raggiungono la mia pelle e mi portano un fremito che cerco di respingere. L’inverno non è ancora passato. Sentirsi a posto con se stessi non è facile per nessuno; forse solo i bambini riescono in questa impresa.

Lavorando dentro di sé, a volte ci si trova impreparati di fronte all’evoluzione che noi stessi alimentiamo e al conto che la vita, inevitabilmente, ci presenta. Se fossimo delle macchine, basterebbero le mani di un tecnico.

Sono stanco e forse è meglio che m’incammini verso casa, la mia casa. E chi ci trovo? Delle piante, qualche libro e la tv: questa ultima è stata una compagna ideale per un certo periodo, adesso mi ha stancato anche lei. No, forse è meglio starmene seduto su questa panchina ad ascoltare le mamme con i loro bambini.

Sono uscito di casa con tante domande incatenate fra loro e non riesco a darmi risposta. E’ difficile rispondere da soli a se stessi. E allora viaggio fantasticando, ma la fantasia tante volte ti fa sbagliare, perché non si ha il riscontro di quello che si fantastica.

Il sole incomincia a cadere dietro le nuvole, sarà meglio che mi avvii verso casa. Sul lungo viale, al quale fanno da cornice degli abeti maestosi, incontro diverse persone che con un cenno mi salutano; io rispondo con un sorriso, ma in quel momento sto pensando alle madri e ai loro bambini.

Ho davanti agli occhi la loro serenità, immagino la loro gioia di fare ritorno a casa, dove troveranno il loro papà. E i papà, quando sentiranno i bambini raccontare le loro avventure, sentiranno meno il peso della giornata.

Mentre percorro il viale verso casa, il freddo incomincia a farsi sentire, come le campane della chiesa che ho quasi raggiunto. Ho bisogno di entrarci. Mi accorgo che è vuota, svuotata come la mia esistenza. Non ci sono persone, e alzando gli occhi, noto dei quadri di Santi. Uno di questi mi colpisce perché rappresenta San Giuseppe che con l’indice invita al silenzio.

Giunto davanti all’altare, m’inchino e, mentre faccio il segno della croce, mi sento invadere dall’odore d’incenso. Forse l’incenso ha un effetto rigenerante e purificante. Mi risveglia dall’apatia, come quei bambini del parco. Percepisco che un poco di vita si è insinuata in me. Non sono così vecchio, sono solo stanco.