C'era una volta un lupo

Mariella Tirelli

10-09-2004  


Ero il più piccolo della cucciolata e anche il più irrequieto e ribelle. Mio padre mi guardava scuotendo la testa e rimproverava mia madre per qualche attenzione in più. Nel bosco, insieme al branco, dove avrei dovuto imparare le regole della caccia e della sopravvivenza, ero distratto, imprudente, mi muovevo durante l'appostamento, fallivo gli agguati. Un giorno mi allontanai dal sentiero, mettendo in pericolo con i miei richiami l'intero gruppo. Mio padre, quando mi trovò, mi morse sul collo e mi allontanò con una zampata. Più tardi gli sentii dire che ero un peso inutile.

Il mattino dopo non mi feci trovare e quando furono usciti tutti ritornai nella tana, a immaginare modi meno faticosi per guadagnarmi la vita. La sera, e anche il giorno dopo, il branco non tornò: forse era caduto in una trappola, forse era stato sterminato o forse aveva cercato un altro rifugio, abbandonandomi al mio destino.

Avevo fame, ma anche paura ad allontanarmi troppo dal mio nascondiglio, non sapevo cosa fare, non avevo imparato niente. Un pastore mi avvistò, richiamato dai miei guaiti, e ritornò poco dopo con una gabbia e un po' di cibo. Non fece fatica a catturarmi: ero solo un cucciolo disperato. Mi portò sui monti, dove era la sua casa, lontano da tutto. Mi legò con una catena ad un albero e mi mise la museruola. Voleva addomesticarmi, insegnarmi a condurre il gregge, a seguirlo ed aiutarlo quando andava a caccia col fucile. L' uomo armato, la prima cosa da cui i miei genitori mi avevano insegnato a guardarmi. Quando sbagliavo, e succedeva spesso, mi picchiava, la catena diventava più corta e la razione più scarsa.

Un giorno venne su un contadino a comprare dei funghi.
Mi vide legato, sporco, arruffato.
Non si trattano così i cani, disse al pastore.
Quello non è un cane, è un lupo.
Diventerà sempre più lupo, in questo modo.
Poi si avvicinò con aria tranquilla, mi accarezzò sulla testa e allungò una mano. Io non sapevo cosa fare e allora lui prese una zampa e la strinse. Era la sensazione più dolce dopo il latte di mia madre.

Riuscì a portarmi via per pochi soldi, giù nella pianura, e mi diede anche un nome. Anche qui devo guadagnarmi la vita: difendere i figli e la moglie dell'uomo che non ha avuto paura di me, tenerli lontani dai pericoli, fare la guardia alla sua casa. Lui provvede alle mie necessità e io per lui sono presenza sicura: sa che la sua famiglia è anche la mia. Col tempo, anche i vicini hanno smesso di temermi, mi chiamano quando passo, una carezza sulla testa e io porgo la zampa. Mi lasciano anche giocare con i bambini. Il mio pelo è meno ispido e i miei occhi non sono più due fessure di diffidenza.