Una danza emozionante

 

Chiara Daina

20-07-2008
 

L'incontro di lunedì scorso a S.Vittore mi ha particolarmente incuriosita. Ho pensato di riportarne alcune riflessioni e aggiungere qualche mia considerazione.

Carcere di S.Vittore, lunedì 14 luglio 2008

Aparo: Proviamo a individuare un’esperienza che abbia svolto un ruolo propulsivo nella nostra vita, un’esperienza che sia stata per noi una specie di enzima vitalizzante.

Beppe: Ogni volta che mi sono sentito pensato da altri. Quando frequentavo le scuole medie, ad esempio, il mio insegnante di clarinetto o quello di educazione fisica hanno riconosciuto il mio talento e hanno creduto in me, stimolandomi. Ma nel tempo il fatto di essere stati pensati perde il suo ruolo attivante. Subentra uno stato di noia. Allora è necessario chiedersi perché sia fallita la mia motivazione. Nel momento in cui tutto svanisce io devo ricordare qualcosa a me stesso. Penso allora all’amicizia che ho maturato qui con Rudi e al fatto che lui ora sia stato trasferito. La sua mancanza, però, non sta diventando un motivo di disperazione. Invece di mettermi a piangere, penso a tutti i momenti belli trascorsi insieme, a tutte le cose costruite insieme, al percorso fatto con questo gruppo, e cerco di rimanere fedele alle cose che ci siamo detti, cerco di metterle in pratica. Smetto di essere triste e mi faccio forza ripensando a noi due. Nella mancanza di Rudi ho imparato a gioire. Poi, ho capito che per stare bene e non ricadere negli errori, devo pormi un obiettivo alla volta, non gettarmi troppo in là, bruciando tutte le tappe.

Ivano: Per sentirmi vivo, devo sentire delle forti emozioni. Ho provato di tutto: immersioni subacquee, arrampicate anche nel buio, bungee-jumping. Ma dopo diventavano abitudine, mi stufavo e dovevo cambiarle. Così ricadevo nella droga e nelle rapine per provare forti brividi e sentire l’adrenalina scorrere in corpo.

Giampietro: La motivazione e l’eccitazione sono due esperienze non esaurienti della nostra realtà. La vita è piena di noia, di attività banali. Che tu sia un semplice operaio o un ricco manager, la vita scorre in modo essenzialmente monotono. Ma è così. Bisogna accettarlo.

Antonio: L’esperienza che mi ha permesso di cambiare radicalmente il mio modo di pensare e il mio modo di stare con gli altri è stata la scuola. Ho frequentato ragioneria durante il mio arresto a Bollate. E’ stato in particolare il mio insegnante di diritto, il dott. Bertazzini, che mi ha fatto innamorare del sapere. Il sapere ti apre un nuovo mondo. Ti fa appassionare e ti dà la possibilità di interagire con gli altri, soprattutto con chi appartiene a culture, religioni, tradizioni diverse dalle tue. Una volta uscito dal carcere, dopo dodici anni di detenzione, mi sono accorto che il mondo era cambiato tantissimo da quando mi avevano arrestato. Tutto correva intorno a me. Non sono riuscito a reggere l’impatto. Sono caduto nella droga. Non ce l’ho fatta e sono di nuovo in carcere.

Livia: Un’esperienza importante della mia vita e che svolge un ruolo significativo anche a distanza di oltre un anno è stata  la mia laurea. Ho discusso una tesi proprio sul gruppo della trasgressione. Ad assistere c’era la mia famiglia e gli amici più cari. Sembrava che la mia famiglia e il gruppo si fondessero insieme. Ho provato un’immensa soddisfazione quel giorno. Mi sono finalmente sentita una persona. Così, tutte le volte che sono sconfortata, mi ricordo di quel giorno in cui sono diventata una persona, e la stima in me ritorna. Ricordare le cose che hai costruito tu ti restituisce la voglia di vivere.

Un evento recente che mi ha donato forti emozioni è stato l’incontro di due persone anziane sulla metropolitana. Marito e moglie che, nonostante l’età e i capelli bianchi, progettavano con entusiasmo  le loro vacanze. Quando alla fermata sono entrata sul metrò, mi sono subito accorta di un posto a sedere libero proprio di fianco all’uomo anziano in piedi. Prima di sedermi gli ho chiesto se avesse preferito lui occupare il posto. “Lo stavo tenendo impegnato proprio per lei, signorina”, mi ha risposto in modo simpatico. E così ho deciso di sedermi, ma per raggiungere il posto sono dovuta passare sotto il suo braccio. Ho intrecciato il mio spazio con il suo. Come in una danza. Senza alcun attrito. In modo semplice e divertente. Abbiamo iniziato a parlare. Subito ho sentito come la sensazione che ci conoscessimo da una vita. La loro energia e la loro incredibile vitalità mi riempivano di gioia e di speranza. Sentivo la fiducia che, anche se gli anni passano, la vita può continuare con la sua intensità. Non ho percepito nessuna invadenza in questi scambi di battute e in questi spazi incrociati.  Ma se solo cinque anni fa quelle stesse persone, con le stesse facce e gli stessi discorsi, si fossero presentate alla stessa fermata, mi sarebbero rimaste completamente indifferenti. Non me ne sarei accorta. Ero troppo chiusa in me stessa. Odiavo tutto e tutti.

Aparo: Per mantenerci curiosi di fronte alle cose e alle persone, è importante che si creino le giuste condizioni dentro di noi. Se siamo troppo pieni di odio, non riusciamo ad accogliere le opportunità della vita. A volte si pensa che nel mondo non ci sia spazio per noi stessi e così ci arroghiamo il diritto di invadere lo spazio altrui. Un’invasione che però non si risolve in un intreccio condiviso tra il mio spazio e quello dell’altro, ma piuttosto in una violazione dello spazio altrui.

Beppe: E’ come se volessimo coprire lo spazio dell’altro. Chiuderlo e soffocarlo.

Sofia: Questi pensieri mi hanno suggerito una riflessione su ciò di cui s’è parlato nei giorni scorsi “l’idolatria della verità”. Quando la Verità la sento mia, solo mia, questa non può in nessun modo permettermi di sentire le cose esterne a me. Mi preclude la possibilità di ascoltare le altre verità. Mi chiude in me stesso. Tutto quello che c’è intorno a me e al di fuori di me non mi interessa.

 


 

Mi sembra che da tutte queste considerazioni emergano due modi diversi di concepire il nostro Spazio e il nostro Tempo. Nessuno vive su un’isola deserta. Ci troviamo necessariamente a respirare in mezzo alle cose e in mezzo agli altri. Ma questo nostro stare nel mondo può avvenire:

Solo tenendo conto di questa differenza posso intendere la relazione con l’altro e cogliere l’importantissimo ruolo che la relazione svolge nelle fasi della nostra crescita e nei nostri momenti di smarrimento e di perdita di forze.

La seconda differenza riguarda il Tempo. Quando il tempo della nostra vita - quello che ci pulsa dentro, quello dei nostri desideri, delle nostre intenzioni, dei nostri interessi -  non trova una coincidenza con il tempo del mondo esterno a noi (quello della realtà che si vede e si tocca al di fuori del nostro cuore, della nostra mente e del nostro corpo), allora soffriamo. Il tempo non lo viviamo più, ma lo subiamo. E lo chiamiamo Noia. E il mondo si capovolge, ci prende in giro e si fa gioco dei nostri stati d’animo, spegnendoli. Noi vorremmo continuare a vivere, ad emozionarci e a sentire l’adrenalina scorrere nelle nostre vene. Ma tutto perde di valore e i significati smettono di esistere.

Chi non desidera che ogni giorno della propria vita sia denso e animato da brividi?  Ma forse l’impazienza di realizzare immediatamente il nostro fine ci induce a trascurare i mezzi attraverso i quali vogliamo raggiungere i nostri fini. L’obiettivo assillante di sentire qualcosa di forte ci fa trascurare quello che possiamo vivere nella relazione quotidiana con l’altro.

Solo quando siamo parti di un insieme, il Tempo e lo Spazio diventano Nostri. La relazione è il solo orizzonte entro cui ogni persona e ogni cosa possono acquistare senso. Forse anche la noia non è una bestia così cattiva, se ci si mantiene aperti all’esperienza. Quando apparentemente nulla accade, si preparano le condizioni per una danza emozionante.