La sapienza delle rane

Marcello Lombardi

10-10-2003

Sin da bambino sono stato abbastanza ribelle; facevo di proposito ciò che mi veniva proibito, a volte assumevo anche comportamenti di sfrontatezza e prepotenza nei confronti degli altri. All’età di 13 anni già mettevo bigliettini minatori nel letto della zia con la quale sono cresciuto. Ricordo ancora quel bigliettino che diceva: “Se anche questa volta mi ricopri la buca, aspettati di tutto”.

La buca era una vaschetta che volevo fare nel giardino per tenerci le rane e i girini da cui ero affascinato. Vedere questi chicchi di caffè con la coda che a poco a poco prendono sembianze di rana, perdono la coda, escono dall’acqua per cominciare a saltellare nel prato, mi affascinava. La metamorfosi! Mi sentivo quasi uno scienziato e quando tutto funzionava bene senza decessi ero soddisfatto.

La sua risposta quando trovò il bigliettino fu: “Aspettati anche tu di tutto al primo quattro che prenderai a scuola” poi ricopriva la buca di nuovo.
Il suo bene nei miei confronti era bello e disarmante, mentre il mio era egoista. Ma il mio egoismo era una necessità, vicino a lei non mi sentivo abbandonato.

Però quella giovane esperienza da scienziato mi portava a considerare che le rane, a differenza dell’uomo, non hanno bisogno del padre per crescere ed affermarsi nel loro habitat; loro nascono con un modello di vita già stabilito dalla natura, nessuno deve insegnare loro come amare, come esprimere la propria sessualità, come difendersi ecc…

Il rapporto padre-figlio è la necessità più importante dell’uomo, e se questo rapporto viene a mancare per una serie di motivi, le conseguenze possono essere irreparabili.