Il tradimento

Rodolfo Frini

28-04-2008

Tutti qui mi dicono che ho tradito le mie figlie con la forzata lontananza che con il carcere ci si procura ma io in verità sento che, se le ho tradite, non è stato certo quando sono entrato in carcere ma molto prima, facendo la vita che conducevo prima di entrarci. In quel periodo posso dire che le stavo tradendo. Ma non è di questo che voglio parlare.

Quello che desidero raccontare è il tradimento che ho subito io da mia figlia, quella grande, sì perché anche i figli ci possono tradire.

Tutto inizia 21 anni fa, quando vado a vivere con la mia ex moglie. Lei aveva già una bimba, Maia, di un anno. Io subito la accetto come fosse mia figlia e il mio amore per lei era ed è veramente grande. Lei è cresciuta con me.

Io le ho tolto le rotelline dalla sua piccola bicicletta e quante corse dietro a lei, facendo finta di sorreggerla.

Io le ho insegnato a nuotare al fiume, dove avevamo una piccola casetta in cui passavamo le vacanze estive.

Io le ho insegnato a scrivere le sue prime parole e mi ricordo ancora la sua prima frase scritta, era: “Crimi è un cane morto…”. Crimi era il nostro cagnolino, un piccolo bastardino ma un grande rompipalle.

Io mi sono preso cura di lei quando ha avuto la varicella; era piccola e che fatica far sì che non si grattasse le crosticine.

Io c’ero quando è caduta e si è rotta un dentino ed ero con lei quando ha perso il suo primo dente, che puntualmente abbiamo nascosto sotto il cuscino perché doveva venire a prenderselo il topino che in cambio le lasciava qualche soldino. Anche il topino ero io.

Per non parlare del suo primo giorno di scuola… che emozione, era un donnino ed io l’unico cretino che piangeva, neanche stesse partendo per la guerra.

Io ho avuto sempre una grande passione: le moto e praticamente Maia è nata attorniata da riviste di moto, videocassette di moto, qualche coppa vinta nelle gare e un garage pieno di moto che sembrava una vera e propria officina, dove l’odore di benzina e di olio bruciato facevano da padroni.

Ho sempre cercato di trasmetterle questa mia passione, passavamo ore in officina e anche se lei faceva più che altro danni, io la tenevo lì con me. Quante viti e bulloni mi ha perso, quante cose mi ha rotto, ma a me piaceva che stesse lì con me e che si appassionasse alle moto proprio come il suo papà ma niente, non c’era niente da fare, lei stava lì, ma giocava con me.

Quando finalmente alla domenica c’erano le corse in tv io le dicevo: “Maia vieni a vedere le corse” ma lei, per niente interessata, guardava qualsiasi altro programma nella tv della cucina.

Maia cresceva ed io non demordevo, volevo che la mia passione diventasse anche sua, fino al punto che a soli 10 anni le ho insegnato ad andare in moto; che dire, sì le piaceva, ma tutto finiva lì.

Un giorno Leo, il suo papà biologico che io conosco molto bene (eravamo amici fin da bambini e lo siamo tutt’ora; lui è un bel tipo, quando si appassiona a una cosa lo fa fino in fondo, mi piace, per esempio si è appassionato al tango e dopo qualche anno è diventato insegnate di tango, si è appassionato alla psicologia e anche se in età avanzata ha conseguito la maturità e poi la laurea), verso la metà degli anni novanta si appassiona alle moto, proprio nel periodo in cui nella categoria delle 250 Max Biaggi, mio beniamino e riferimento motociclistico da sempre, vinceva e stravinceva tutte le gare (lo chiamavano “il corsaro nero” per via della sua tuta e della livrea della moto, appunto, tutta nera).

Mia figlia andava a passare un week end da Leo e questo succedeva una volta ogni 2, 3 mesi; quella domenica c’era il Gran Premio… e la nuova passione di Leo. Con lui guarda le corse e fa il tifo per Max Biaggi che, puntualmente, vince.

La domenica sera Leo la riporta a casa e quella volta Maia stringeva un modellino della moto di “Max”. Casa mia era piena di modellini di moto e non ci aveva mai giocato, a lei piacevano tanto i tegamini… quella sera comincia a parlarmi della differenza che c’era tra un motore a due tempi e uno a quattro tempi, mi parlava di carburatori e di marmitte; io in un certo senso avrei dovuto esserne contento ma poi mi dico: “Sono 10 anni che sei in mezzo a questo mondo e non te ne è fregato mai niente! Passi due giorni, dico, due giorni con Leo e te ne torni a casa che mi sembri essere diventata il meccanico di Max Biaggi.”

Ricordo quel giorno come se fosse stato ieri, mi sono sentito inutile, stupido e tradito. Io le voglio bene come se fosse mia figlia ed è l’unica persona assieme a Naomi per la quale sarei disposto a dare la mia stessa vita, io so che lei è mia figlia ma so anche che io non sarò mai suo padre.

Mentre sto scrivendo questo racconto le sensazioni che provo sono ancora così forti che a stento trattengo le lacrime, complice sicuramente la musica che sto ascoltando, una canzone che si intitola “Solo per te”.

Maia, Naomi, il vostro babbo vi ama.