Chiedere aiuto è difficile

Cristian Stoccola

05-03-2005

Ciao mamma, forse non ti sei accorta, ma la tua lettera è stata più pesante del viaggio da casa alla questura, fra due poliziotti che mi dicevano “stai andando a San Vittore”. Non mi sono mai sentito così male come dopo averla letta.

Io non ho un’immagine distorta di mio padre, tu me ne parli sempre e mi dispiace che tu soffra anche per la nostra ostilità. Non posso dimenticare di quella notte passata al telefono, con me chiuso in albergo. Ero disperato e l’unica cosa che tu desideravi era passare attraverso il filo del telefono per raggiungermi e starmi vicino.

Non lo dimenticherò mai, e se ancora oggi non mi accorgo del piacere e della soddisfazione che mio padre prova nel vedermi vivere, questo è dovuto al fatto che lui non ha mai fatto trasparire nulla. Dalla sua bocca non è mai uscito un “ti voglio bene” o “dimmi cosa c’è che non va”. E poi parla a te di una mia chiusura senza accorgersi che la cosa è reciproca. Siamo entrambi barricati “io nel mio scafandro, lui nel suo palazzo” ed è molto difficile avere un dialogo tra persone barricate.

Siamo fatti così; non c’è nulla da fare. Sono ormai troppo abituato a risolvermi tutti i problemi da solo, e ora chiedere aiuto a lui mi è difficile. Questa, mamma, è la verità e, adesso che sono qua, penso che sia più facile parlare del mio futuro insieme a te (che spero sia prossimo) anziché cercare di capire i motivi di questo mio odio.

Per il resto, mamma, ti posso dire che sto pagando la pirlaggine e la superficialità che ho dimostrato ultimamente. Su questo cambierò, te lo prometto.

                                 Ti voglio bene mamma, tuo Cristian