Il mantello del cigno

Claudia Reati

 

20-11-2011

Mi chiamo Claudia, ho 21 anni, non ho mai rubato, non ho mai spacciato droga, non ho mai fatto uso di cocaina e non ho mai picchiato nessuno. Ho una famiglia, una bella casa, un ragazzo che mi ama e la possibilità economica di studiare all'università.

Il mio cigno si chiama Claudia, ha 21 anni, ma è come se fosse appena nato; vive affianco a me, dentro di me e nei miei sogni; ha le mie sembianze fisiche ma appartiene emotivamente solo a una parte di me. Io e il mio cigno non ci conosciamo ancora bene, o meglio, lui conosce molto bene me, ma io conosco poco lui.

Ora immagino vi stiate chiedendo chi è il mio cigno…

Il mio cigno è in un frigorifero che aprivo disperata, per sentirmi in colpa dieci minuti dopo; il mio cigno è in una boccetta con delle goccine magiche magiche; il mio cigno è in un gabinetto che ho amato e odiato troppe volte dopo aver capito che forse quello era l’unico modo per attirare l’attenzione; il mio cigno è in una sigaretta strana che uso al posto delle goccine quando bevo qualcosa perché il dottore mi ha detto che non posso mischiare alcool e psicofarmaci.

Il mio cigno non va d’accordo quasi con nessuno, detesta la sua famiglia, detesta suo padre, ma soprattutto detesta sua madre, quella madre che avrebbe dovuto stargli vicina quando ne aveva bisogno, ma non l’ha fatto.

In questo momento il mio cigno sta sfruttando al massimo il suo palcoscenico; è vicino alla fine (e quindi alla sua morte) ma lui la percepisce come lontana, non ci pensa neanche lontanamente a scendere da quel palco. Sta bene lì dov’è.

Io non so spiegare l’esistenza del cigno, o forse sì. Diciamo che forse non voglio accettarlo e non voglio accettare il fatto che abbia manipolato in gran parte la mia vita fino ad ora.

Il cigno di cui discutiamo durante i nostri bellissimi incontri, incarna tutti i nostri cigni. Tutti noi abbiamo un cigno, il mio è esattamente uguale agli altri, con la differenza che, per ora, lo conosco solo io e non è ancora stato scoperto. La debolezza e la paura di ognuno sono i comuni denominatori dei nostri cigni. Non posso sapere se tutti i cigni siano destinati a perire; molti credo che riescano ad essere controllati; altri, purtroppo, dominano le nostre vite.

La totale negazione di essi o la sicurezza di riuscire a controllarli pienamente è, per me, sintomo di presunzione. Il dolore appartiene all’esistenza esattamente come la gioia, la disperazione e l’amore. Di tutto questo si vive, pur se a volte tremando. Il cigno ci promette protezione e stabilità; basta solo lasciare che sia lui ad assumerne la gestione.

Il mio cigno non vorrà sentire queste parole perché probabilmente ho già parlato troppo di lui.

Ah, dimenticavo, il mio cigno indossa un mantello e un cappuccio nero.