Il cigno e il branco

Simone Beretta

 

02-02-2012

Ricordo come fosse ieri quando io e mio padre, in una delle nostre solite litigate, discutevamo sui ruoli. Lui cercava in tutti i modi di affermare il suo, quello di padre; io facevo di tutto per metterlo in discussione mentre non accettavo affatto il mio, quello di figlio. Avevo tredici anni all’epoca, rivendicavo la mia libertà, la cercavo attraverso tutte quelle cose con cui a quell’età potevo essere riconosciuto dagli altri.

Sul palco ci sto da allora, non ne sono mai sceso malgrado i fischi, il lancio di pomodori e i miei palesi insuccessi. Mi stupisce soprattutto che al palco non abbia ancora rinunciato, nonostante oggi stare sul palco non mi faccia più stare bene come un tempo. Troppa la paura di scendere, che si spengano le luci della ribalta, che la vita possa diventare un brodino insipido servito in ospedale.

E allora, quando la rappresentazione di me stesso mi veniva banale, ecco che inserivo qualche elemento nuovo che la movimentasse, che riportasse l’attenzione su di me. Allora, ecco la droga, ecco la violenza, le menzogne. Quando la realtà non ti soddisfa, fai di tutto per creartene un’altra. E già, perché in realtà è questo che ho fatto, ho modificato la mia percezione delle cose, ho inventato una nuova scala di valori. Mi immedesimavo sempre di più nella parte mentre diventavo sempre meno consapevole di allontanarmi dalla realtà, dalla famiglia, dalla felicità.

Quando vivi di eccessi e trasgressioni la vita ti segnala con i suoi sistemi che è meglio conformarsi, e così arrivano i primi guai, i primi arresti. A questo punto, sai che a disapprovare ciò che fai non è solo la tua famiglia (quelli non ti capivano!) ma la società, le istituzioni.

La sensazione, però, era di esibirmi davanti ad un pubblico inadeguato, persone troppo distanti dalla mia realtà; altre volte sentivo invece che il tempo a mia disposizione fosse troppo breve. Questo senso d'inadeguatezza me lo porto dietro fin da bambino, fin da quando i miei genitori si sono separati ed entrambi hanno costituito nuovi nuclei familiari. Beh io non mi sentivo appartenere a nessuno di essi.

Allora ecco sostituire la famiglia con il gruppo di amici, con il branco, con un ambiente che ti faccia sentire parte di qualcosa di giusto, anche se nei comportamenti sbagliati. Il branco costituiva tutto il mio universo, eccolo finalmente il pubblico di cui avevo bisogno, in mezzo a loro mi sentivo realizzato e la loro approvazione era la cosa più importante.

Ma con la vita sregolata, sempre al limite della legalità, spesso molto oltre, sono arrivati i guai, quelli seri, e allora ecco che tutto svanisce, tutti spariscono, il branco si disperde e rimani solo. A quel punto, tutti gli ideali che avevi in quel momento, che da ragazzo ribelle rappresentavano la mia personale lotta contro l’oppressione, crollano. Tutto ciò per cui ti sentivi riconosciuto e per cui eri arrivato anche a sacrificare i rapporti familiari, si dissolve nel vuoto. All’improvviso ho avuto la sensazione che la luce sul palco si fosse spenta, ho realizzato che una parte della mia vita si era esaurita, era volata via e adesso raccoglievo quello che avevo seminato.

Adesso mi ritrovo a dover ricostruire, devo ripartire dalle fondamenta, recuperare rapporti e soprattutto far pace con me stesso. Oggi mi sento ancora in gioco, fortunatamente la mia permanenza in carcere si sta quasi per esaurire, posso ancora sentirmi adeguato alla parte che devo intraprendere, sfruttando al meglio il tempo che mi è concesso. E quando sarà ora di far morire il cigno, lo accetterò senza rimpianti.