Potere che abusa, autorità che divide

Curzio

25-11-2006  

Penso di non aver avuto nel corso della mia vita grandi esperienze di potere che abusa e autorità che divide, però ricordo qualcosa della mia infanzia che forse racchiude entrambe le cose.

Avevo circa otto anni e mentre tornavo a casa da scuola, in un giorno primaverile, incontrai un altro bambino di nome Gianmaria, il quale mi disse di farmi trovare verso le quattro del pomeriggio nel campo giochi del suo cortile, dal quale avremmo potuto spostarci nella villetta abbandonata per poter fumare le nostre prime sigarette. Io non ero molto sicuro di farlo perché conoscevo bene mio padre e, come ogni bambino maschio gli volevo bene, lo ammiravo ma ne avevo anche paura perché ogni volta che combinavo un  danno, lui, oltre a punire me, se la prendeva anche con mia mamma e i miei fratelli.

La cosa più strana, della quale non riuscivo a farmene una ragione, nemmeno oggi, era di come mio padre riuscisse a capire tutto, solo guardandomi negli occhi, senza farmi nemmeno delle domande. Consapevole e timoroso di ciò ero lì lì per dire a Gianmaria che non l’avrei seguito nella sua avventura, ma mentre mi accingevo a spiegargli le mie perplessità, lui, intuendole al volo, cominciò ad insinuare che io avessi paura di fumare e che non avrei dovuto assolutamente preoccuparmi di mio padre perché non sarebbe mai venuto a conoscenza del fattaccio, soprattutto perché gli altri bambini che ci aspettavano nella villetta abbandonata, oltre ad essere più grandi di noi, non se la sarebbero mai ”cantata”.

Così seguii il mio amico Gianmaria e non appena ritornammo dalla nostra avventura vedemmo ad una ventina di metri di distanza mio padre il quale, mi fece con la mano di andargli incontro ma, quel pirla del mio amico mi disse di far finta di non vederlo e di andare dietro a lui per fare un giro più lungo, per poi sbucare da un’altra strada, in questo modo avremmo incontrato mio padre in un punto più lontano dalla villa abbandonata. Pessima idea perché fu proprio questo atteggiamento ad insospettire mio padre e, non appena ci trovammo l’uno di fronte all’altro, annusò le dita della mia mano destra e purtroppo accadde l’invitabile.

Mentre mi accompagnava a casa con calci e schiaffi io continuavo a ripetere che la colpa era mia e che non doveva toccare la mamma e i fratelli e lui, per tutta risposta, continuò a percuotermi dicendo che la colpa era soprattutto della mamma. Non appena entrammo in casa schiaffeggiò mia madre e ci mise entrambi in cucina l’uno di fianco all’altra affinché potesse dedicarci meglio le sue attenzioni.

Iniziarono i giochi, mia madre teneva la mano sinistra sulla guancia destra e la mano destra sul petto di mio padre per tenerlo lontano. Io invece ero completamente immobile e con lo sguardo fisso dentro gli occhi di mio padre, non era la prima volta che prendevo le botte e avevo capito che l’ostentazione del coraggio e della sopportazione al dolore suscitava in mio padre sia il rispetto che la pietà e grazie a tutto ciò ne prendevo molte meno.

Quel giorno però mia mamma ne stava prendendo troppe ed ogni volta che veniva colpita a causa mia io mi sentivo debole, impotente, come tutti quegli inutili bambini di questo mondo, come tutte quelle categorie deboli, le quali come unica loro difesa hanno solo le lacrime. Tuttora non riesco ad apprezzare chi è incapace di difendersi! Tentai una reazione con l’intento di attirare la giusta punizione di mio padre solo su di me ed essendoci riuscito, come giusto premio ricevetti anche uno sputo in faccia, perché nella vita tutto si può fare tranne che reagire ad un padre, eh! Eh! Eh!

Beh, ora sono un uomo e posso essere in balia dell’Istituzione oppure di me stesso, ma mai di un altro uomo.