Intervista alla dott.ssa Giovanna Di Rosa
Magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Milano

Chiara Daina

19-12-2008  

 

Tribunale di Milano, 15 dicembre 2008

Dott.ssa Di Rosa, lei ha già concesso ad alcuni detenuti il permesso per partecipare agli incontri del gruppo con le scuole e ha già partecipato di persona ad alcune iniziative del gruppo. Cosa pensa di questa attività?

Ritengo molto opportuno che l’autorità giudiziaria conceda permessi di uscita ai detenuti per partecipare ai convegni e agli incontri con le scuole organizzati dal Gruppo perché riconosco l’alta valenza trattamentale di queste iniziative nell’ambito del percorso di reinserimento del soggetto deviante e della maturazione del suo iter giudiziario.

Ho verificato l’importanza e l’utilità di questi permessi partecipando direttamente a molte delle occasioni di riflessione e di dialogo cui il Gruppo ha dato vita. Ricordo con piacere il Convegno sul Male dove esperti e intellettuali si sono confrontati con gli stessi detenuti, dando luogo a dinamiche dirompenti e graffianti, di grande interesse ed efficacia.

Penso poi all’incontro sul tema della percezione della legalità (“La legge che compone e la legge che divide”). Mi era piaciuto molto il taglio che aveva in un’ottica di prevenzione: il messaggio prezioso trasmesso da chi ha infranto la legge e la discussione sul perché la legge debba essere rispettata anche in situazioni in cui pare quasi impossibile osservarla. Inoltre, mi ha molto colpita la presenza delle famiglie dei detenuti. Essi hanno dimostrato coraggio, maturità e voglia di condividere con i propri figli gli sbagli commessi. Si è verificata una modalità “al contrario” di prevenzione: testimoniando i loro errori e le loro sofferenze i detenuti hanno invitato i loro figli a non emularli.

L’opportunità che il Gruppo offre di mettersi in gioco di fronte ad un pubblico e di interrogarsi sulle scelte passate, anche attraverso l’analisi critica delle proprie incongruenze insieme con compagni di detenzione e studenti del gruppo, è uno strumento unico e prezioso che credo sia giusto riconoscere con i permessi di uscita.

La possibilità di una testimonianza diretta richiede molto coraggio e umiltà dinnanzi ai propri sbagli, che non è sempre facile soprattutto per chi ha già una certa età. Ricordo con stupore le osservazioni che un detenuto fece durante un convegno a San Vittore. Egli diceva che quando commetteva le rapine a mano armata non si curava della paura e dei sentimenti che la vittima poteva provare in quel momento. A lui interessava soltanto di non essere preso e giustificava i suoi gesti con il fatto che non avrebbe mai utilizzato l’arma, né avrebbe mai commesso violenze fisiche. L’attenzione agli stati d’animo della vittima gli è stata indotta dal lavoro di riflessione del Gruppo, senza il quale non avrebbe mai riconosciuto quest’altra grave conseguenza delle sue azioni.

Vorrei che questa scelta di collaborazione e di apprezzamento diventasse un messaggio importante non solo per i detenuti ma anche per l’opinione pubblica. L’attività con le scuole, inoltre, aiuta a fare sicurezza e prevenzione. I detenuti, infatti, possono costituire una fonte preziosa per i giovani contro fenomeni come il bullismo e la tossicodipendenza – che ormai si sono diffusi presso tutte le classi sociali, divenendo a volte un habitus di trasgressione fine a se stesso.

Infine, sono convinta che il lavoro del Gruppo sia utile anche nel mio lavoro. I suoi risultati mi suggeriscono riflessioni più ampie e mi aiutano a saper meglio leggere le storie delle persone di cui mi occupo e ad allargare e problematizzare il mio orizzonte di interpretazione dei casi.