Quando il gioco ti possiede
Mercoledì 30 Gennaio 2002

«Dal gusto del rischio alla dipendenzain un crescendo di bugie»

di CARLOTTA NICCOLINI

Lo considerano una malattia da una ventina d’anni, da quando l’Oms l’ha inserito nel «Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali». Ma è solo negli ultimissimi tempi che in Italia il gioco d’azzardo patologico (ripetuto e compulsivo) è esploso come fenomeno di massa, con costi umani e sociali altissimi. Una dipendenza per molti versi simile a quella dall’alcol o dalla droga, ma di cui si parla molto meno e per cui, soprattutto, mancano nel nostro Paese interventi mirati.

Come spiega lo psichiatra Riccardo Zerbetto, curatore con Mauro Croce del libro «Il gioco & l’azzardo» (Franco Angeli), «l’uomo è sempre stato giocatore, ma è negli anni più recenti che l’offerta è diventata così massiccia e abbiamo assistito alla proletarizzazione del gioco d’azzardo». Lotto, superenalotto, bingo, casinò on line (ne esistono circa 700), gratta e vinci, videopoker. Chiunque oggi, a qualunque età e in qualunque luogo, ha facilmente accesso al gambling. Formule di gioco sempre più solitarie, prive di controllo sociale e ad alto rischio di addiction. «Nelle slot-machine e nelle macchinette per il videopoker anche le luci, i suoni e i tempi rapidissimi incidono nel provocare la dipendenza», spiega ancora Zerbetto, «tant’e vero che in altri Paesi, per esempio in Olanda, lo Stato è intervenuto per modificare alcuni di questi meccanismi. In Italia, purtroppo, siamo ancora molto lontani e manca qualunque intervento di prevenzione e sensibilizzazione».
Su 100 giocatori si stima che lo 0,8 per cento sia destinato ad ammalarsi. Nell’80 per cento dei casi il soggetto-tipo è un maschio tra i 30 e i 50 anni, spesso non sposato. Ma il fenomeno si sta allargando velocemente anche ai giovani.

Quali sono i sintomi del Gap (gioco d’azzardo patologico)? «L’aumento del tempo/denaro/spazio mentale dedicati al gioco, il ricorso alle bugie e ai sotterfugi in famiglia e sul luogo di lavoro, l’ansia legata all’indebitamento e la spirale perversa per cui si continua a giocare presumendo di rifarsi delle perdite», risponde Zerbetto.

Più difficile individuare le cause, il movente per cui un giocatore occasionale (chi non ha mai fatto una puntata alla roulette o comprato una schedina del superenalotto?) diventa a un certo punto un «posseduto».

Gli studi parlano anche di una componente genetica, legata a un cromosoma che predisporrebbe all’assorbimento rapido della seratonina e alla richiesta continua di nuovi stimoli da parte dell’organismo. «Ma poi ci sono i modelli familiari, il contesto sociale, i momenti di depressione seguiti a un lutto o una forte solitudine», aggiunge Mauro Croce, psicologo e psicoterapeuta impegnato nei servizi pubblici per le tossicodipendenze. «Spesso la malattia del gioco si sovrappone o si alterna all’alcolismo nello stesso nucleo familiare o addirittura nello stesso soggetto».

Guarire è possibile. Un aiuto concreto arriva dall’associazione «Giocatori anonimi», nata un paio d’ani fa e ormai diffusa in molte città italiane, tra cui Milano, dove sono attivi due gruppi.